Wild Cooking | Attilio Scienza, Alla ricerca della vite perfetta: un sogno che si avvera
50808
post-template-default,single,single-post,postid-50808,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,select-theme-ver-2.1,vertical_menu_enabled, vertical_menu_width_290,smooth_scroll,side_menu_slide_from_right,wpb-js-composer js-comp-ver-5.0.1,vc_responsive

Attilio Scienza, Alla ricerca della vite perfetta: un sogno che si avvera

 

L’ostilità o lo scetticismo verso la scienza, che i filosofi chiamano più bonariamente “critica della scienza” ha accompagnato fin dalle origini la scienza moderna, con atteggiamenti disparati che vanno dalle fosche profezie sulla fine della civiltà e sull’inevitabile olocausto provocato dalla scienza, ai rimpianti per il Medioevo come “epoca organica” e comunitaria, all’esaltazione delle civiltà agricole primitive o del mondo magico e del sapere alchemico, spesso evo- cato anche ai nostri giorni. Sono veri e propri luoghi comuni che appaiono ciclicamente dagli anni Trenta dell’800 (epoca del rifiuto romantico della scienza newtoniana) fino alla rivolta contro la scienza del primo 900 ed all’antiscientismo ed antimodernismo della fine degli anni 60.Alla base di questi comporta- menti vi è quello pseudo-umanistico della inumanità della scienza, fatta da individui pronti a vendersi alle multinazionali, schiavi inconsapevoli del Potere, o quello della difesa della fantasia e creatività che sarebbero estranee alla scienza incapace di intendere la complessità o ancora quella che considera la scienza come “impresa empia e luciferina ,come sete di dominio, violazione della natura innocente, diretta responsabile dello sfruttamento sociale e del dominio dell’uomo sull’uomo E’ come se nel nostro mondo del benessere fosse presente una criptica forma di nostalgia per il mondo del malessere. Gli intellettuali hanno una forte propensione per l’ineffabile e nel cor- so del secolo scorso si sono spesso fatti sostenitori di regimi politici tra i più abbietti: ma il pessimismo e la predicazione di una imminente apocalisse rendono bene in popolarità. L’ostilità verso la scienza, così intensamente propagandata rischia oggi di diventare un comune modo di pensare. I giovani soprattutto, credono al tramonto della civiltà, identificano la na- tura con l’innocenza, saldano assieme in una miscela non nuova, tradizionalismo di destra ed utopismo di sinistra. Popper nel 1972, benché aderisse allora ai principi del minimalismo, affermò in pieno accordo con la visione darwiniana che la scienza è “forse lo strumento più potente per l’adattamento biologico mai emerso nel corso dell’evoluzione organica”. Quasi un secolo prima Mendel affermava che la genetica era l’evoluzione nelle mani dell’uomo.

Quale viticoltura per il futuro?

La mitica età dell’oro, l’”aurea aetas” di Ovidio, un periodo di immensa felicità per la mitologia classica, nella viticoltura del Vecchio Continente, termina con l’arrivo delle cosiddette malattie americane. Prima del XIX sec., l’uva era prodotta da viti non innestate, spesso ultracentenarie, moltiplicate per propaggine, allevate su piante arboree o striscianti negli ambienti caldi, alle quali non serviva nessun trattamento contro funghi o insetti e l’intervento dell’uomo si limitava a qualche zappatura del terreno attorno alle viti ed ad una sommaria e saltuaria potatura. L’uva prodotta era veramente l’espressione esclusiva del vitigno e del terroir. Purtroppo, anche se in molte religioni si attende un tempo che ci riporti allo stato di perfetta armonia e di benessere, non si potrà più ritornare a quella viticoltura originaria.
È quindi immaginabile il comportamento della filiera vitivinicola nei confronti delle viti ottenute sia con metodi convenzionali che innovativi, condannate prima ancora che possano vedere la luce e senza che possano dimostrare la loro innocuità nei confronti della salute del consumatore. Molte parole di uso corrente hanno un significato ambiguo, ad esempio la tradizione vuol dire trasmettere ma anche tradire, così la parola scandalo, in greco identifica un impedimento, un trabocchetto, ma anche il mettersi in mo- vimento. L’arrivo delle malattie cosiddette americane in Europa verso la metà dell’800, può essere definito uno scandalo, come lo è stato il cristianesimo per gli ebrei, perché è stato un impedimento al mantenimen- to di uno “status quo” economico e sociale nel quale galleggiava della viticoltura europea, praticamente inalterata dal Medioevo, ma anche un’occasione irrepetibile per il rinnovamento della viticoltura che da allora venne definita “moderna”. Non è una coincidenza che la nascita della genetica, quella di Mendel e di Darwin, coincida con la necessità di creare nuove varietà di portinnesti e di vitigni per reagire agli effetti nefasti degli “accidenti, parassiti e malattie della vite” e che questo abbia determinato una sorta di metabolizzazione della storia del vino, dispiegando finalmente il segreto che è racchiuso nel perché degli avvenimenti. La genetica, tanto vitupe- rata ai giorni nostri da quelli che la temono perché non la conoscono, è la vera risposta alla domanda di sostenibilità ambientale della viticoltura, la quale non può rinunciare a combattere i parassiti, né tantomeno affidarsi ai rimedi offerti dall’esoterismo. Il vino è un invenzione, non esiste in natura, è la scienza che lo ha creato ed è alla scienza che dobbiamo guardare, perché senza di essa saremmo costretti a bere solo dell’aceto. Con buona pace di quelli che vogliono il “vino naturale”. Il futuro della viticoltura non sarà più nella separazione tra la produzione ed il consumo: sarà necessaria una visione olistica del mondo dove l’espressione “sviluppo” sostenibile non deve più essere considerato un ossimoro, ma un traguardo raggiungibile attraverso i risultati della ricerca e dell’innovazione.

Il dovere dei ricercatori: spiegare la scienza.

Perché il valore della scienza non viene spiegato in termini adeguati? Il fatto che ufficialmente la scienza venga considerata in modo negativo e criminalistico rende assai difficile spiegarne il valore. Gli scienziati vengono percepiti con le loro scoperte come persone che possono insidiare comode egemonie, privilegi o interessi consolidati. Sono guardati con sospetto
e vengono confutati nelle loro acquisizioni spesso da persone di scarsa competenza e con modalità ideologiche, a volte pretestuose. Non estranei sono i mezzi di comunicazione di massa, in questa epoca della post-verità, che spesso disinformano più che informare, alla ricerca della notizia clamorosa che omologa le piante transgeniche ai frequenti rischi ali- mentari, al monopolio nella ricerca delle multinazio- nali, alla perdita di biodiversità, con toni catastrofici. In medicina siamo passati con disinvoltura dal metodo Di Bella a Stamina, alla recente e pericolosa campagna mediatica contro la vaccinazione. Anche l’Università ha le sue colpe, in quanto ha sottovalutato il ruolo della cosiddetta terza missione, quella che dovrebbe affiancare e rendere esplicite le altre due, quella della ricerca e della formazione superiore. L’innovazione genetica in particolare è sempre stata accolta con molta circospezione dalla viticoltura europea fin dalle sue prime applicazioni alla ricerca delle resistenze nei confronti delle cosiddette malattie americane. L’assenza di cultura scientifica è il vero tallone d’Achille del nostro Paese e purtroppo c’è la tendenza a ricordarsi della scienza nei momenti di disperazione o di emergenza, come è successo con l’arrivo della fillossera, chiedendo ad essa risposte rapide e sicure. La storia si sta ripetendo nei confron- ti dell’emergenza climatica, dimenticando che spesso la scienza non dispone delle risorse necessarie per venire incontro alle esigenze che richiedono gli eventi. Relativamente al tema del miglioramento genetico della vite per le resistenze, è necessario un prerequisito affinché il genomeediting possa avere una prospettiva di successo: l’intenzionalità antro- pologica alla condivisione del progetto di ricerca. Cosa significa? Che è necessario avere coraggio per affrontare tutti assieme, ricercatori e produttori, i rischi e le paure che hanno in questi anni impedito l’innovazione genetica. Diceva Kant: “sapere aude”, abbi il coraggio di sapere.

Cosa fare? Una proposta concreta.

Il progresso delle conoscenze derivate dalla scoperta degli enzimi di restrizione avvenuta negli anni 70,della totipotenza delle cellule vegetali attorno agli anni’80 ,la creazione della prima pianta transgenica nel 1983 e finalmente la decriptazione del genoma della vite ,pubblicata nella seconda metà degli anni ’90,consentiranno l’applicazione della cosiddetta correzione del genoma (genome editing).Attraverso la creazione di individui cisgenetici ed intragenetici, alcuni vitigni italiani potranno resistere alle malattie crittogamiche favorendo l’espressione di geni che codificano per la sintesi di sostanze antifungine , senza che altri ,portatori di caratteri qualitativi indesiderati, possano esprimersi nella pianta, come capita invece nell’incrocio . Senza entrare nei dettagli metodologici è però importante affermare che non si tratta di OGM ma di piante che possono essere considerate alla stregua di cloni in quanto la variazione genetica è minima e solo a livello di alcune basi, analogamente a quanto succede in natura in modo spontaneo, attraverso le mutazioni. La vite cisgenica o ottenuta con correzione del genoma (genome editing) può essere considerata la versione moderna degli ibridi? Benché esista analogia negli obiettivi, la resistenza negli ibridi del passato, portata dai geni della resistenza delle viti americane, trascinava con sé geni portatori di caratteri indesiderabili, responsabili dei sapori sgradevoli del vino. Nei cisgenici, piante ottenute dal trasferimento di una parte del DNA pro- veniente da individui che appartengono allo stesso genere, il genoma è molto più integro e più vicino alle viti europee. Chiosando una espressione di Luigi Cavalli Sforza, riferita agli uomini, “il meticcio ci salverà”. Le innovazioni scientifiche, più che da grandi organizzazioni che battono sentieri certi per conseguire risultati che non cambiano le prospettive globali (vedi OGM), arrivano piuttosto da un modo di pensare diverso, che di fronte ad ostacoli a volte insormontabili, li aggira seguendo percorsi insoliti. Il cambio di paradigma scientifico è rappresentato da un nuovo modo di pensare, passare da una visione meccanicistica ad una sistemica che vede la vite come una rete informatica che va regolata in modo fine e fisiologico. Un esempio di questo nuovo ap- proccio viene offerto dalla medicina umana. L’anemia falciforme o mediterranea è una malattia genetica ereditabile causata da una mutazione genica che distrugge i globuli rossi del sangue. In origine questa alterazione era favorevole alle popolazioni esposte alla malaria perché il protozoo agente della malattia non poteva riprodursi nei globuli rossi falciformi, anche se questi erano poco efficienti nel trasporto dell’ossigeno. Questa mutazione puntiforme del gene dell’emoglobina è causata dalla sostituzione di due basi, l’adenina con la tiamina, che rende così ineffi- cace il funzionamento dei globuli rossi. Una equipe di ricercatori australiani con la tecnica del genome editing (correzione dl genoma) hanno modificato il gene difettoso sostituendo la base mutata nella sequenza delgene, correggendo così la mutazione che codificava per la proteina che rendeva il globulo rosso, falciforme. Questa tecnica può essere trasferita alla vite, per conferire ai nostri vitigni la resistenza alle malattie. La vite europea possiede un dominio di circa 500 geni per la resistenza alle malattie, ma questi geni non riescono a codificare per le proteine necessarie per la produzione di sostanze di contrasto ai funghi. Questa incapacità è legata alla storia evolutiva della vite europea nella quale a differenza di quanto è avvenuto per le specie americane, non ha potuto giovarsi di un lungo rapporto temporale con i parassiti, per evidenziare gli individui che in virtù di una mutazione avevano potuto esprimere dei geni capaci di produrre le sostanze antifungine. Attraverso questa correzione del genoma (che va annoverata tra le new breeding technology), una sorta di microchi- rurgia con la quale si opera sui geni di suscettibilità, la cui presenza è necessaria affinché si manifesti una malattia. L’inattivazione di questi geni porta ad una pianta resistente. L’esempio più noto è quello dei geni Mlo (Mildew Resistance locus O) la cui inattivazione conferisce resistenza all’oidio alla vite. L’intervento è quindi comparabile ad una mutazione naturale, sull’esempio di quelle che fanno comparire improv- visamente su una vite che produce grappoli colorati, dei grappoli bianchi (Pinot nero>Pinot bianco). Con questa tecnica che non consiste in un trasferimento di geni (OGM) è possibile far diventare i nostri vitigni italici resistenti alle malattie. Non è comunque un intervento semplice, saranno necessari alcuni anni per mettere a punto le tecniche della trasformazione soprattutto per quanto riguarda la rigenerazione dei calli e per verificare a livello viticolo ed enologico l’effetto dell’intervento genetico sulla qualità dei vini. Inoltre solo pochi vitigni, quelli che hanno il maggio- re impatto economico sull’immagine del vino italiano o che vengono coltivati in zone densamente abitate, saranno trasformati in una prima fase. Per rendere possibile questo progetto che renderebbe la ricerca viticola italiana leader nel mondo è però necessario un grande sforzo organizzativo ed economico. La creazione di una rete degli enti di ricerca italiani e dei produttori di vino, anche attraverso una particolare Fondazione cosiddetta per partecipazione, rappresen- ta il primo passo per la creazione di un hub nazionale per coordinare tutti gli sforzi di ricerca. Per il finan- ziamento, (sono necessari circa 15 milioni di €/anno per almeno 5 anni), si può pensare ad un contributo di scopo applicando una tassa di 2 centesimi di € per ogni bottiglia di vino prodotta in Italia (circa 2,5 mi- liardi /anno), una cifra insignificante per i produttori, ma nella logica dei grandi numeri, decisiva per lo sviluppo della ricerca viticola italiana.